Dalle caratteristiche pressochè verghiane, le pagine
del libro di Antonio Carannante risultano pulsanti di realismo, dove i
personaggi si susseguono in quel famigerato girone di vincitori e vinti.
“Materiale altamente resistente” è il titolo che l’autore ha scelto per i suoi
racconti. Una resistenza intesa come continua lotta di sopravvivenza dove il
grido del popolo deve, per poter trovare spazio, sovrastare quotidianamente un sistema sociale sempre più alienante. È dai
tempi del naturalismo che si studia il fenomeno ambientalistico e sociale come
concausa dei comportamenti dell’individuo. Nascere in un quartiere difficile determinerebbe
una sorte già tristemente segnata. Ma all’uomo è stata data una scelta,
rassegnarsi al proprio destino o resistere per un cambiamento. Dalle storie
narrate dall’autore emergono spaccati di realtà metropolitana, in cui sono
evidenti quei problemi che qualsiasi lettore riconoscerebbe come attuali,
perché si ritrova a viverli in prima persona o perché comunque avverte quella precarietà
del vivere quotidiano e quel malessere scaturito da una incessante
demotivazione. Quattro sono i racconti di Carannante. Ognuno di essi raccontato per bocca dei protagonisti.
L’utilizzo di espressioni dialettali e di un linguaggio semplice marcato dal
gergo quotidiano e generazionale
rafforza maggiormente la crudezza della realtà in cui i personaggi si
muovono. Tra le vicissitudini narrate non manca quello che a mio avviso
ripropone l’attualissimo problema legato al mondo del lavoro. Nel racconto “non
tradirti” due ricercatori italiani accettano di partecipare ad uno stage negli
Usa, per loro giungerà anche una proposta di lavoro e l’inevitabile permanenza
nel paese d’oltreoceano. Eppure, uno di loro non soddisfatto, rifiuterà l’offerta per ritornare
nella sua Napoli e dal suo amore che non ritroverà. La scelta di questo
personaggio fa molto riflettere. In un paese che offre poco ai giovani in
materia di lavoro, una scelta del genere potrebbe oggigiorno essere ritenuta
folle. Ma Raffaele, il giovane ricercatore nutre ancora una speranza, illudersi
che nonostante tutto, i suoi meriti potranno un giorno garantirgli un futuro
brillante nella sua città. È come voler annulare quel detto “Nemo propheta in
patria”. Perché andare via ? Prima di arrendersi bisognerebbe combattere. Un
altro aspetto che emerge leggendo questo interessantissimo libro è la costante
tempo. In ognuna delle storie sembra che il tempo, inteso in differenti
accezioni, sia fondamentale nello scandire la vita dei personaggi. Nel testo
“tutta questione di velocità” un ragazzino trascorre le proprie giornate nella
monotonia di un contesto familiare malsano, dove ascolta il padre ripetergli
continuamente “hai capito tu , guagliò? Impara che devi fottere per primo. È
tutta questione di velocità” Questa affermazione riprende il concetto
espresso dalla locuzione latina “Homo homini lupus”. Il mondo è una
giungla, in cui l’egoismo prevale sul bene comune, per cui si vive con la
preoccupazione che qualcuno possa sempre scavalcarci. E per evitare questo, ecco
che nasce quella necessità di fregare il prossimo prima di restare fregati. Uno
stile di vita, quindi, quello dettato dal padre del ragazzino che sogna un
futuro diverso da quello che gli si prospetta. Il tempo è ancora più
determinante nella vicenda di Vincenzoblù. Paura di crescere, di vivere, l’illusione di ingannare
il tempo che inevitabilmente passa. Cosa emergerà secondo i lettori?
Un’affezione da sindrome di Peter Pan o una grottesca interpretazione del
fanciullino pascoliano? Per finire, nel quarto racconto troviamo un gruppo di
musicisti, una bellissima amicizia tradita dal “tempo”. Jemsè e Mario erano
grandi amici, uniti da una fortissima passione: la musica. Loro obiettivo era
incidere un disco. I due si dividono, Mario tenta la carriera da solista, la
sua vita è assalita dalla preoccupazione di non riuscire in tempo, accelerare
la vita per non soccombere, quindi. Ma alla fine solo la pazienza ripaga e
Jemsè resiste per riprendere in mano i suoi sogni. Quanto al tempo mi viene in
mente un passo tratto dal libro III del “De rerum natura” di Lucrezio “Nessuno può avvertire il tempo di per sé:
avulso dal moto e dalla placida quiete delle cose”. Materiale altamente
resistente, con la prefazione di Angelo Petrella, edito da “Ad est dell’equatore”,
non lascerà i lettori indifferenti. Leggere un libro che parla di storie quotidiane lascia spesso l’amaro in bocca, perché forse più sentite e vissute. Le stesse toccano e
inquietano a volte più di una storia di serial killer. Perché è una realtà che
sentiamo appartenerci e ci fa male.